Riflettere su un fatto di cronaca dai contorni inspiegabili non è certo facile. E sicuramente di getto ci viene la voglia di puntare il dito contro uno scriteriato capace di gettare la figlia dodicenne dal viadotto. Salvo poi restare appeso in quella posizione e situazione drammatica per otto ore fino al compimento del gesto estremo. Questa vicenda che vede protagonista una famiglia dilaniata, spazzata via come un colpo di spugna, presenta caratteristiche per le quali la mente umana deve arrendersi. Ed ecco che il teatro di un dramma diventa teatro di scena, con gente che scatta selfie, fa video in diretta come se si trattasse di uno spettacolo da comunicare a terzi. In situazioni agghiaccianti dove un uomo distrugge moglie, figlia e poi se stesso, non ci sono risposte se non quelle relative a turbe psichico-mentali che sembrano essere distanti, ma in realtà sono più vicine di quanto si possa pensare. La vita presenta tante sfaccettature, tante sofferenze sulle quali ognuno reagisce in un determinato modo. Probabilmente ad offuscare la lucidità di quest’uomo, che fino al compimento degli insani gesti sarà anche stato una persona dabbene, ci sarà stato qualche meccanismo contorto, forse una patologia, una malattia galoppante al cervello. Non sappiamo. Abbiamo il dovere di fronte ad un lutto così forte di portare un silenzioso rispetto. Possiamo solo leggere, in questo agghiacciante episodio destinato ad entrare negli annali della cronaca nera dell’Abruzzo, quanto di amaro e di impotente vi possa essere in una società che spesso vede ma fa finta di non vedere, come sente e fa finta di non sentire. Un dramma dunque che si poteva evitare? Ai posteri le ardue sentenze.
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