Editoriale – Quarantuno anni fa, da qualche tv a colori sbiaditi e qualcuna in bianco e nero approdava negli schermi delle case italiane, l’immagine che ha interrotto una storia e ne ha aperta un’altra. Il tutto con uno dei delitti più efferati in contesto politico rivoluzionario, pianificato in ogni dettaglio. Per l’allora Presidente della Democrazia Cristiana 55 giorni di stillicidio costituirono una lunga e lenta agonia che lo portarono dagli spalti di Montecitorio ad essere relegato come un sacco nel baule di una autovettura utilitaria. Via Caetani sarà il drammatico epilogo di via Mario Fani. Due strade che da anomine sono entrate tragicamente nella storia.
Ebbene la visione di quelle immagini, del corpo straziato di Moro, testimoniarono la potenza di un sistema rivoluzionario che aveva inferto una pugnalata a morte allo Stato, alla politica. Con reazioni fin troppo sobrie, e sul cui giudizio pesa l’involuzione negativa che ha visto man mano scomparire statisti poi sostituiti dalla forza del tempo da altri meccanismi. Quella prima repubblica tanto contestata, contro la quale si scatenavano rivoluzioni, movimenti studenteschi, proteste accese. Di quell’Italia non v’è più traccia, nè nel bene e nè nel male. Lo sconforto pubblico portò gli italiani a diventare da reazionari a sottomessi. Gli ideali brigatisti, esasperati fino alla morte, segnarono nel caso dell’onorevole Moro un buco nero, nel quale pochi si sono voluti realmente addentrare.
L’analisi di un epoca, che lascia con sè tanti misteri, cose non raccontate, è complessa e una delle poche ricostruzioni su questo tema degne di nota è da attribuire al Professore Mario Di Domenico per quanti hanno avuto il piacere di ascoltarla in qualche occasione di convegno. Da lì probabilmente escono da una mente lucida e colta, diversi spunti di riflessione che catapultano in un quadro storico-documentale dell’epoca di Aldo Moro applicando una analisi approfondita alla sua azione politica e sociale. Elementi che traggono ancora maggiori certezze sono quelli narrati nell’opera “L’apologetica dell’amore – In memoria di Aldo Moro”, scritta da Ignazio Iacone, cappellano militare presso il Comando Regionale della Guardia di Finanza della Regione Calabria. Oltre alla storia letture come questa forniscono utili elementi soprattutto per focalizzare la sensibilità e la lucida analisi con la quale l’autoreha tracciato il profilo umano, politico e spirituale di Aldo Moro quale interprete del fare politica come vocazione “al bene comune ponendo al centro l’uomo persona. Tornando al professore Di Domenico, il suo intervento in una recente presentazione a Roma del libro sopra citato, fu una occasione per immergersi in una narrazione storico-analitica realista che chiarisce qualcuno dei punti neri rimasti tali nel corso degli anni.
La storia, non è sempre quella che troviamo sui libri, ci sono storie parallele in dimensioni diverse che esulano probabilmente da quello che vivono i comuni mortali del terzo millennio avanzato. L’involuzione negativa è stata inesorabile, al sistema Stato degli anni di fuoco, si è oggi sostituito il torpore, la rassegnazione, e la conseguenza di aver dato voce e ruoli a chiunque non ne avrebbe mai avuto alcun titolo. E la colpa non è solo del web, ma anche del popolo italico, troppo concentrato sugli schermi del calcio e poco sull’analisi di vita reale.
Molto è stato detto in questi anni, tante tavole rotonde, e a distanza di quarantuno anni per chi ha vissuto quei periodi, anche se giovane i ricordi sono indelebili. La politica del terrore è stata sostituita da quella del torpore. Non vi è stata una via di mezzo che poteva costituire quell’elemento mediano su cui rifondare le basi per un equilibrio di Stato. Ebbene se Moro fu il precursore di un dialogo con la sinistra, di un compromesso storico che all’epoca sembrava fin troppo fuori le righe, la sua storia evidenzia tutta la semplicità di un uomo che probabilmente è stato uno dei pochi e veri servitori del nostro Stato. @danieleimperiale