EDITORIALE – La storia del pensiero umano è, da sempre, anche la storia della sua liberazione. Per secoli, la ragione e la libertà di scelta sono state sottoposte a vincoli, repressioni, paure. Pensare diversamente significava spesso esporsi al sospetto, al silenzio forzato, o persino alla condanna. Eppure, è proprio in queste crepe della storia che l’umanità ha trovato il coraggio di emanciparsi.
Giordano Bruno, filosofo e visionario, pagò con la vita la sua libertà intellettuale. Arso vivo a Campo de’ Fiori nel 1600, fu colpevole di aver spinto il pensiero oltre i confini imposti dal dogma. Non accettò di ritrattare la sua visione di un universo infinito, né di negare la libertà della mente umana di esplorare, interrogare, dissentire. La sua morte non fu vana: rappresentò l’inizio di una lunga marcia verso l’affermazione del diritto di pensare.
Oggi, quel diritto lo esercitiamo ogni giorno. Ma non sempre ne siamo consapevoli. La libertà di scegliere – nei comportamenti, nelle relazioni, nelle opinioni – va accompagnata dalla responsabilità di discernere. È qui che entra in gioco la scissione dei piani tra scelta e ragione: una capacità fondamentale per vivere pienamente e rispettosamente in comunità, nelle relazioni sociali e negli ambienti di lavoro.
Scegliere non significa affermare sé stessi a discapito dell’altro. Scegliere significa misurare la direzione, valutare le conseguenze, comprendere che ogni decisione si inserisce in un contesto più ampio. Perché si sceglie? Talvolta per affinità, per appartenenza, altre volte per convinzione profonda, per principio. Le motivazioni sono molteplici e legittime. Ma è l’uso della ragione che ci consente di trasformare una scelta personale in una forma di rispetto collettivo.
Le differenze, se ben comprese, sono un valore, non una minaccia. Saper scegliere piani diversi di comportamento e di linguaggio – a seconda dei contesti e degli interlocutori – è un segno di intelligenza emotiva, di cultura, di civiltà. La contrapposizione non deve mai diventare attacco: deve essere occasione di confronto, stimolo alla crescita, spazio di dialogo.
In questo senso, Dante Alighieri ci offre ancora una volta una lezione eterna. Nell’Inferno della Divina Commedia, i peccatori non sono abbandonati al caos, ma distribuiti in gironi ordinati secondo il peso delle loro scelte terrene. Dante riconosce che l’uomo sbaglia, ma non lo condanna a priori: lo analizza, lo interroga, lo colloca. C’è, nei suoi versi, un’idea alta di giustizia, e insieme il tentativo di comprendere la complessità del vivere umano. Anche lui, come Bruno, come tanti altri spiriti liberi, ha contribuito a costruire un pensiero capace di elevarsi.
Ma elevare il pensiero non significa disprezzare chi pensa diversamente. Il vero rischio non sta nelle opinioni divergenti, ma nella mancanza di decoro, nel disprezzo, nella negazione dell’altro. Lo vediamo, purtroppo, in molte espressioni della vita moderna: basti pensare al tifo sportivo che si trasforma in aggressione, alla politica che sfocia in insulti, alle differenze di orientamento – sessuale, religioso, culturale – trasformate in strumenti di esclusione.
Eppure, in fondo, si tratta sempre di scelte. Di come scegliere. Di quanto la nostra scelta è nutrita dalla ragione e non solo dall’impulso. La verità, lo sappiamo, non è mai una sola: nemmeno nelle aule di giustizia, dove si confrontano narrazioni, teorie, testimonianze. La verità, come scriveva Montaigne, è fatta “non di ciò che si dice, ma di ciò che si comprende”.
A offrire un altro contributo prezioso a questa riflessione è il pensiero di Ludwig Feuerbach, filosofo tedesco dell’Ottocento, che rovescia il punto di vista teologico per porre al centro l’uomo come essere relazionale. Feuerbach ci invita a spostare l’attenzione dai concetti astratti all’umanità concreta. Scrive: “L’essenza dell’uomo è l’insieme delle sue relazioni”. In questo ci ricorda che la ragione non è isolamento, ma confronto; non dominio dell’io, ma apertura all’altro. Per Feuerbach, la verità non è un assoluto sovrannaturale, ma nasce nel dialogo umano, nell’esperienza vissuta, nella relazione.
Questo significa che la scissione dei piani non deve diventare una frattura, ma un modo per interpretare con lucidità i diversi contesti dell’agire umano. Saper distinguere tra il piano emotivo e quello razionale, tra il proprio sentire e il bene collettivo, è una forma di libertà matura. È ciò che ci permette di non reagire con ostilità, ma con intelligenza, e di far sì che le scelte non diventino motivo di esclusione, ma occasione di riconoscimento reciproco.
La bellezza dell’essere umani sta proprio in questo: nel sapersi distinguere, senza distruggersi. Nel volersi bene, anche nella differenza. Perché la vera rivoluzione, oggi, è scegliere di unire, non di dividere. E la scissione dei piani tra scelta e ragione, se ben compresa, può essere la bussola che ci guida verso questa nuova forma di civiltà.