Una antica formula di pellegrinaggio diventa metafora potente per il lavoro di squadra: superare i limiti, puntare in alto, e affidarsi a una forza collettiva per raggiungere una meta che è solo l’inizio.
🔱 EDITORIALE – Nel Medioevo, i pellegrini che si dirigevano verso Santiago de Compostela si salutavano con le parole: “Ultre ïa et Sus eïa, Deus adjuva nos”, che si traduce con: “Più avanti, più in alto. Dio ci aiuti.” Un’espressione semplice, eppure carica di energia simbolica. Oggi, queste parole possono essere reinterpretate per chi affronta un altro tipo di viaggio: quello collettivo verso un obiettivo condiviso, che sia il lancio di un progetto, il completamento di un percorso professionale o l’inizio di una nuova impresa per il bene della collettività.
Il lavoro di squadra, di aiuto reciproco intriso di lealtà e di condivisione e rispetto, costituiscono valore fondamentale per arrivare in traguardo che ci si è prefissati. Un traguardo che però è un nuovo punto di partenza, poichè il lavoro per l’edificazione dell’uomo, per la sua tutela e per la sua crescita non termina mai, avanza ed è arduo ma è un dovere sociale.
Nel contesto di una squadra, “Ultre ïa” rappresenta il superamento delle difficoltà quotidiane, delle incomprensioni, dei limiti individuali. È l’invito a non fermarsi, a spingere un passo più in là, a tenere viva la motivazione anche nei momenti di stallo. Un team che si ripete mentalmente “Ultreïa” si sta dicendo: “Non basta arrivare fin qui. Possiamo fare di più, possiamo fare meglio.”
“Suse ïa” è l’ambizione nobile: non quella egoistica, ma quella che guarda verso l’alto come direzione condivisa. È il richiamo ad uno scopo più grande del singolo: la visione comune.
Ogni progetto efficace ha bisogno di un nord simbolico, di una “meta spirituale” che orienti le azioni quotidiane. Senza “Suseïa”, il lavoro rischia di diventare solo operatività, perdendo significato.
Infine, il cuore profondo del motto: “Deus adjuva nos” – Dio ci aiuti. Non è solo un richiamo religioso, ma una formula che afferma: “Non ce la facciamo da soli.”
Nel contesto lavorativo o progettuale, può essere letto come il riconoscimento della necessità di aiuto reciproco, fiducia, coesione e spirito comunitario. Non si tratta solo di contare sull’altro, ma di costruire qualcosa di più grande attraverso l’interdipendenza.
In ogni azione di comune condivisione, l’arrivo non è la fine. È la soglia di una trasformazione. Così è anche per i progetti ben riusciti: il vero lavoro inizia dopo aver tagliato il traguardo, quando si apre lo spazio per consolidare, far crescere, evolvere. “Ultre ïa et Sus eïa” non celebra l’arrivo, ma invita a non smettere mai di salire.
E’ un motto per ogni squadra che sogna in grande. Che si tratti di una startup, di un team creativo, di un gruppo unito da condivisione di valori, di essere, di rappresentare, queste antiche parole possono diventare un mantra moderno. Ricordano che per realizzare qualcosa di grande servono:
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Coraggio di andare oltre (Ultreïa)
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Visione alta e condivisa (Suseïa)
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Sostegno reciproco e fiducia nel gruppo (Deus adjuva nos)
Un motto che non appartiene più solo ai pellegrini, ma a chiunque percorra un cammino collettivo verso un orizzonte che trasforma. L’espressione si trova nel Codex Calxtinus, una guida medievale per il cammino di Santiago di Compostela. Si basa sulla solidarietà, sull’incoraggiamento, ed il significato così come analizzato va oltre la semplice meta fisica di un determinato percorso o cammino, ma costituisce anche una modalità per crescere e per essere portatori di valori cristiani e morali, ogni giorno come cittadini del mondo.
Il pellegrinaggio millenario verso la tomba dell’apostolo Giacomo, costituisce nel tempo dei tempi un approfondimento soprattutto per chi non lo ha mai compiuto effettivamente. Molti aspetti della nostra vita costituiscono un cammino, scandito dal tempo che inesorabilmente scorre, che segna dolore e gioie. Sta a noi, poter decidere come portare avanti il cammino, brillando di luce propria e non riflessa.
A.M.D.G.